Le avevo notate durante la visita in cui la bravissima guida ci ha raccontato con passione la storia del villaggio. Erano sedute nel giardino davanti casa, parlavano tra loro e leggevano l’Eco di Bergamo. Fermarmi a scambiare due parole con loro al termine del giro è stata la parte più sensazionale della giornata. La Signora Franca è originaria di Trezzo, il paese confinante, suo padre lavorava al cotonificio, lei era una bambina quando andava a piedi da casa a portare il pranzo a suo papà in fabbrica. Poi si sposa, anche il marito lavora al cotonificio e si trasferisce a Crespi d’Adda dove vive da 69 anni. Pure sua figlia Bruna ha lavorato come impiegata dell’ufficio del personale del cotonificio, per 39 anni, fino al 2003, anno che segnerà la fine di una vera e propria epoca. Con lei la famiglia è stata alla quarta generazione di lavoro in questa azienda, il suo bisnonno era del 1894, arriva al cotonificio nei primi del ‘900, quindi, circa una trentina di anni dopo la nascita di Crespi d’Adda dall’idea del visionario ed illuminato Cavaliere Cristoforo Benigno Crespi, secondo me, genio assoluto del saper fare industria.
Cristoforo Benigno Crespi è un bustocco cioè di Busto Arsizio, città famigerata già dal medioevo per avere una macchina tessile in ogni casa. Anche la sua famiglia è nel settore tessile, sono dei tengitt, cioè dei tintori. Benigno cresce aiutando il padre Antonio nell’azienda di famiglia e dopo un’adolescenza passata in seminario per dare corda a quella che sembrava la vocazione di farsi prete, finite le scuole superiori, abbandona la via della tonaca, intraprende gli studi in giurisprudenza, si laurea e prende la via dell’imprenditoria. Il suo sogno è quello di sviluppare l’attività di famiglia facendola diventare una grande azienda di produzione tessile, ma per fare questo serve capitale da investire che accumula lavorando in altre aziende, presso attività in difficoltà, che lui risana e che poi vende una volta migliorate. Una di queste esperienze lavorative è a Vaprio d’Adda ed è in questa che individua il territorio dove nasce Crespi d’Adda. Si tratta di una vasta zona di terreni vergini, coltivati a mezzadria e situati nella punta dell’Isola Bergamasca, cioè un lembo di terra circondato da tre corsi d’acqua, l’Adda, il Brembo, e il Fosso Bergamasco, un canale artificiale che collega i due fiumi. È la zona ideale, c’è tanta acqua, elemento essenziale per produrre l’energia necessaria a mandare avanti l’azienda. Il villaggio, inoltre, è logisticamente in una posizione strategica perché il paese confinante, Trezzo, provincia di Milano. La sua idea di impresa è quella di una città ideale, autonoma, autosufficiente, dove gli operai, gli impiegati e i dirigenti della sua azienda convivano in un ambiente dignitoso, bello, sereno, protetto, che li renda felici e di conseguenza più produttivi a lavoro. Prende il via il suo sogno, compra i terreni del territorio per un totale di 85 ettari e ottiene la concessione per utilizzare le acqua dell’Adda. Il primo cantiere che prende vita è quello della costruzione del canale che porta le acque dell’Adda verso la centrale elettrica che alimenterà il cotonificio. Ma la scoperta di una falda acquifera più sotterranea nel punto di costruzione del canale rischia di mandare in fumo tutto il sogno e l’investimento (all’epoca corrispondente ad attuali svariati milioni di euro). La leggenda narra che a Benigno Crespi diventino tutti i capelli bianchi in una sola notte, per la grande preoccupazione e che la moglie, la Sig.ra Pia Tavelli (figlia di un noto avvocato bustocco), in quella stessa notte, faccia un voto alla Madonna, se la Vergine compirà il miracolo lei farà edificare una meravigliosa chiesa a Crespi d’Adda. E il miracolo arriva, nei mesi che seguono, una incredibile siccità colpisce la zona che fa prosciugare completamente la falda acquifera incriminata e Benigno Crespi può continuare la costruzione del canale. Viene edificata anche la chiesa, ovviamente, meravigliosa e perfettamente identica, sia all’esterno che all’interno, al Santuario di Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio che fu ad opera del Bramante.
Per i coniugi Crespi, bustocchi entrambi, è come avere un pezzo di casa a Crespi d’Adda.
Il villaggio industriale si snoda secondo una logica ben precisa, basica, rivista soltanto agli inizi nelle dimensioni delle case operaie. Le prime, infatti, vennero costruite sotto forma di caserme abitative e sono i tre palazzocc (palazzotti) che trovi scendendo a Crespi sulla tua destra.
Sono nuclei abitativi che possono contenere anche 20 famiglie, ma all’epoca le famiglie contadine sono numerose, i bagni sono in comune, l’igiene personale non è una pratica così diffusa. La soluzione si rivela del tutto inadeguata e il figlio di Benigno, Silvio, che nel frattempo fa il suo ingresso in azienda come amministratore, cambia completamente la visione della cosa. Fa costruire delle case mono o al massimo bi familiari, con ampie finestre, alti soffitti, larghe strade che le separano, giardini antistanti e orti retrostanti alle case. Questa formula consente ricambio d’aria, un ambiente sano che si trasforma in una maggiore produttività in azienda. Le case operaie, come quelle degli impiegati e dei capi reparto, dei dirigenti si snodano a sinistra del corso principale, di fronte alla fabbrica. I tre tipi di abitazioni sono pervasi da un simbolismo molto importante, con un unico comune denominatore, la recinzione che delimita il perimetro delle case realizzata con le regge con cui vengono imballate le balle di cotone. Questo vuole far ricordare a tutti che sono lì per servire il cotonificio, per il resto, le case rappresentano, nell’architettura, gli stessi ruoli ricoperti in fabbrica. Le case degli operai sono dei cubi semplici e lineari, l’ingresso è al piano terra, il giardino è piccolo,
cioè il ruolo in azienda non lascia spazio a nessuna inventiva, è un ruolo meramente esecutivo. Le case dei capi reparto e degli impiegati sono già con un’architettura in movimento, l’ingresso ha degli scalini, hanno i balconi, i giardini hanno degli alberi,
il ruolo in azienda prevede infatti una certa autonomia e una dinamicità nella necessità di dover risolvere dei problemi, il ruolo sociale è già diverso. Le case dei dirigenti sono l’evoluzione, sono 9, non disposte secondo un perimetro preciso, tutte diverse tra loro, dotate di un’ampia scalinata che ne segna l’ingresso, dei giardini molto ampi e degli alberi che oramai hanno “qualche anno” di vita.
È la traduzione dello stato sociale del dirigente, ha un ruolo di potere, ognuno in modo diverso perché ognuno segue un reparto diverso, il livello sociale è più alto di tutti gli altri. Di tutti eccetto che della famiglia Crespi, che come residenza fa costruire il Castello di Villa Crespi,
sulla destra del viale principale, all’ingresso del villaggio, nello stesso lato della fabbrica, a voler segnare la linea di demarcazione della proprietà, a voler dire, “è tutto di nostra proprietà, voi fate parte del villaggio ma lavorate per noi”. Nella sua maestosità è il segno del potere dei Crespi sul villaggio, composto da quarantotto stanze sarà la residenza estiva della famiglia, abitato da maggio a settembre. Per i restanti mesi la residenza sarà il palazzo di Via Borgonuovo a Milano e per rimanere sempre in costante aggiornamento su quanto accade in azienda viene portata la linea telefonica di Milano a Crespi, tanto che, ancora oggi, il prefisso del villaggio è lo 02 (quello di Milano appunto) nonostante si trovi in provincia di Bergamo. Due villette restano staccate dal complesso residenziale sulla sinistra, spiccano in alto, su di una collinetta, come guardassero tutto quello che succede sotto di loro.
Sono la casa del medico e del prete, due pedine stipendiate direttamente dai Crespi e che sono per la famiglia di importanza strategica e fondamentale. Al prete le persone confessano le pene dell’anima, al medico quelle del fisico. In questo modo i Crespi sanno di adulteri, liti e crisi coniugali, cattivi rapporti tra vicini, malattie, gravidanze, cattivi stati di salute e possono intervenire per aiutare a risolvere il disagio, sempre, il tutto, finalizzato alla serenità della persona che si traduce poi in produttività in fabbrica. Imponente è l’edificio dell’asilo, cioè la scuola pubblica del paese, uno dei primi realizzati e di fondamentale importanza perché
forma gli operai e gli impiegati di domani del cotonificio. Si va a scuola fino alla terza elementare (nel resto d’Italia era fino alla seconda), la scuola è a carico dell’azienda e garantisce un pasto del bambino, il pranzo. Tre anni in cui viene insegnato a leggere, scrivere, fare i conti e a lavorare il cotone, perché usciti dalla scuola si entra in fabbrica. Le famiglie che possono fare a meno dello stipendio del bambino gli fanno proseguire gli studi mandandolo a Bergamo alle scuole medie (che una volta si chiamava Avviamento) e usufruisce di questa possibilità sempre messa a disposizione dalla famiglia Crespi. Saranno poi quelli che torneranno in azienda come capi reparto o impiegati. Il più bravo tra quelli andati alle medie a Bergamo riceve una borsa di studio dalla famiglia Crespi con la quale frequentare il liceo a Milano e diventare poi, un futuro dirigente del cotonificio. Il primo giorno di scuola di questo asilo è nel 1891. L’emblema di tutta l’idea iniziale di Benigno del villaggio ideale viene tradotta con il simbolo di un cerchio chiuso all’interno di una stella ad 8 punte e che incontrerai ovunque a Crespi d’Adda, dai tombini alle decorazioni della fabbrica.
Il cerchio rappresenta la città chiusa e perfetta ma aperta all’esterno con le otto punte della stella che appunto si rivolgono all’infuori. È un simbolo cattolico molto forte, la stella ad otto punte rappresenta la fede il rinnovamento la rinascita, è il retaggio, per Benigno, della forte educazione cattolica ricevuta negli anni di seminario. Crespi d’Adda è, per l’epoca, un esempio di modernità assoluto che vengono a studiare da ogni parte del mondo. Per questo, e anche per tutti i viaggiatori di passaggio a Crespi per trattative commerciali, viene costruito un albergo. Ma molti altri sono gli elementi che parlavano di progresso, i lavatoi così pure i bagni pubblici
hanno acqua calda che viene riscaldata dalla centrale che produce energia. È obbligatorio lavarsi e mantenere una corretta igiene personale per non favorire il proliferare di malattie che possano compromettere la produzione dell’azienda. Ma far passare però questo concetto a persone che fino a poco tempo prima lavoravano come mezzadri non è facile. Benigno mette in competizione gli abitanti del villaggio, facendo annotare su apposito registro quando le persone si lavano per poi confrontare i dati e renderli pubblici. Due i sistemi idrici che regolano il villaggio, uno per le acque ad uso aziendale, irrigazione e lavatoi, un altro per l’acqua ad uso domestico e personale. È obbligatorio occuparsi del giardino e dell’orto, mantenerli in uno stato di abbandono è segno che il poco tempo libero a disposizione viene trascorso a bere e quindi è segno di un disagio che va risolto. Certo, di tempo a disposizione ne resta poco perché i turni in fabbrica sono di 12 ore, le condizioni di lavoro non ideali la troppa umidità e il calore eccessivo producono cattivi effetti alle giunture degli operai tanto che gli operai vengono chiamati sciabai cioè sciancati. Anche gli infortuni sono frequenti e nel villaggio c’è un ospedale fornito di moderna strumentazione e una sala chirurgica per i casi più semplici. Per quelli più difficili la famiglia Crespi stipula delle convenzioni con degli ospedali milanesi. La Cooperativa di Consumo si occupa di fornire quanto necessario alla comunità, dalle forniture alimentari ai bottoni a tutto quello che serve alla collettività.
Nel Natale del 1889, Benigno ha 56 anni e decide di fare un regalo al figlio Silvio cedendogli il ruolo di direttore generale dello stabilimento. Ha solo 21 anni, si è laureato da poco in Giurisprudenza, ha fatto esperienze lavorative in Germania e in Inghilterra, ha lavorato persino in una banca londinese, il sogno di Benigno con il figlio Silvio spicca definitivamente il volo. Silvio è avveduto e lungimirante allo stesso tempo, ha la mente aperta dall’aver viaggiato ed è illuminato come il padre. Ricoprirà ruoli politici importanti portando avanti grandi riforme per migliorare le condizioni di vita degli operai ed abolire il lavoro notturno, sarà Presidente della Banca Commerciale Italiana, appassionato di motori sarà lui a far costruire l’autodromo di Monza e sarà presidente dell’Automobil Club d’Italia.
Di tutt’altra stoffa l’altro figlio di Benigno, Daniele, di dieci anni più giovane del fratello Silvio. Dedito più a sperperare le fortune accumulate dal padre e dal fratello, tanto che il padre si trova spesso a dover ricorrere alle casse dell’azienda per coprire i debiti del figlio. Per non offendere il padre facendolo interdire, Silvio trova un modo elegante per estromettere il fratello dalla società e fare in modo di evitare il peggio. Costituisce una società anonima al quale il padre cede l’eredità prima della morte e di cui Silvio detterà la maggioranza. Daniele vedendosi estromesso, minaccerà il suicidio ma non commetterà mai l’insano gesto continuando a vivere degli agi fornitigli ugualmente dal fratello che intanto salva il patrimonio di famiglia.
Dal 1878 fino al 1928 la famiglia Crespi è nell’epoca d’oro dell’attività del cotonificio, a pieno regime l’azienda arriva ad occupare 4.000 diepndenti e il villaggio ad ospitare 1.500 persone.
L’ultimo edificio costruito dalla famiglia è il Dopolavoro, che celebra il cinquantenario del villaggio e dove gli abitanti possono ritrovarsi per giocare a carte, organizzare feste e avere una vita sociale,
ma Silvio ha già intuito quello che sta per accadere. La grande crisi del ’29 segna la fine dell’epoca Crespi a Crespi d’Adda, l’indebitamento con le banche non regge il colpo della grave crisi economica, la famiglia perde tutto, l’azienda viene acquistata dalle Manifatture Toscane. Resta di proprietà della famiglia solo il mausoleo della tomba di famiglia situato nel cimitero di Crespi d’Adda visibile da lontano.
Anche qui il simbolismo è fortissimo e impressionante. Quel Cimitero posto al termine del corso principale, dopo lo stabilimento della fabbrica, è come se volesse raccontare il destino segnato da una sola strada di chi arriva a Crespi d’Adda. Quella del lavoro in fabbrica che termina con la morte e anche dopo di essa, la famiglia Crespi sarà lì ad eterna veglia sul villaggio. La sontuosità della tomba di famiglia sovrasta tutte le altre sepolture celebrate da semplici croci realizzate in pietra del fiume Adda.
Con l’arrivo del fascismo, il paese cambia addirittura nome, la famiglia Crespi non c’è più, lo stabilimento produce tessuti il nome deciso dal regime è Tessilia. Le case operaie vengono private dai decori in mattoni rossi che segnano le linee di marcapiano e vengono dipinte all’esterno con la stessa alternanza del tricolore italiano, verde bianco e rosso. Quando nel 1995 l’Unesco dichiara Crespi d’Adda Patrimonio dell’Umanità impedisce definitivamente qualsiasi eventuale modifica dello stato attuale del villaggio, affinchè venga preservato per le generazioni future in modo che possano godere di questo meraviglioso esempio di Rivoluzione Industriale Italiana.
L’arrivo dell’Unesco definisce in qualche modo il sogno di Cristoforo Benigno Crespi. costruire qualcosa di bello che durasse nei secoli, per sempre. Per questo tutto fu progettato fin nei minimi dettagli e con la considerazione di tutte le cause ed effetti. Lo stabilimento, che negli anni vede diverse proprietà, termina il suo lavoro il 20 dicembre del 2003, dopo ben 125 anni di attività. L’ultimo turno è quello delle 16:49, il prete del villaggio suona le campane a morto, le lancette dell’orologio dell’ingresso di rappresentanza si fermano per sempre a quell’ora.
Anche Bruna, termina il lavoro quel giorno a quell’ora e mentre me lo dice un velo di malinconia si cela nei suoi occhi. Solo lei e chi ha vissuto il villaggio con la sua stessa intensità, può sapere cosa voglia dire non sentire più quel rumore delle macchine che segnava la vita del villaggio posto in una valle dove non esistono altri rumori. Solo loro possono identificare e tradurre quel silenzio nello stato d’animo di chi ha tutta la storia della famiglia legata a doppia mandata con quella della fabbrica. Solo loro possono raccontare quanto sia forte il desiderio di vedere di nuovo in attività lo stabilimento che sei anni fa è stato acquistato da Antonio Percassi, attuale Presidente dell’Atalanta Calcio.
Per vedere gli sviluppi, bisognerà tornare in questo luogo dove in realtà, il tempo sembra davvero essersi fermato.
Grazie mille per quest’articolo interessantissimo 😃. Anche in Piemonte, nella Val Chisone, c’erano delle industrie tessili e i loro proprietari avevano costruito dei villaggi per gli operai.
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Grazie a te Barbara. Sono contenta ti sia piaciuto. Non sapevo questa cosa della Val Chisone, andrò a vedere.
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qua trovi qualcosa a livello generale. Se vai nel paragrafo “Opere sociali” parla delle case di Gutermann, dell’asilo e delle scuole.
Nel caso ti interessasse approfondire in rete si trova altro materiale 🙂
http://www.valchisone.it/storia-leggende/43-archeologia-industriale-in-val-chisone
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