Nel 1348 la peste nera che decimò l’Europa non risparmiò nemmeno Ascoli Piceno. Non era la prima epidemia che affliggeva la città e non fu, di certo, nemmeno l’ultima.
Le conoscenze mediche dell’epoca erano limitate, soltanto nel 1894 un medico scoprì che la causa del tutto è una pulce che morde un topo. Per testare le condizioni di salute di un paziente i medici avevano pochi “rituali” da compiere come, sentire se il polso batteva, osservare il colore delle urine dall’interno di una matula (come quella del medico a sinistra nel dipinto conservato nella Chiesa di Sant’Agostino),

praticare un salasso al termine del quale, se il paziente sopravviveva al dissanguamento, avrebbe avuto un sangue completamente rigenerato e libero dall’infezione.
Se la scienza medica era a questo punto, gli astrologi erano convinti che le pesti fossero dovute a delle congiunzioni astrali particolarmente sfavorevoli, mentre il popolo spiegava questi fenomeni in due modi. Nei casi più atei (comunque rari) il nemico veniva da fuori, era straniero, quasi sempre ebreo e reo di aver diffuso la peste per sterminare la popolazione locale. Nei casi più credenti (la maggior parte al tempo), la peste era il flagello inviato da Dio per espiare le colpe dei peccati commessi dagli uomini. Necessario era quindi invocare il perdono divino attraverso le processioni, le costruzioni di chiese, le commissioni ad artisti importanti di opere di arte sacra realizzate anche con materiali molto pregiati.
Cento torri, tonnellate di travertino usate per le facciate dei palazzi e per le piazze che la rendono una città stupenda e unica, e tanti, tantissimi segni lungo le rue (come si chiamano molte viette ascolane) della città ad eterno ricordo di queste terribili pestilenze e di come i cittadini ascolani abbiano tentato in ogni modo di fermarle.
E così, si può scoprire, ad esempio, che l’attuale Via Ottaviano Iannella un tempo era Via dello Spedale

proprio per via dell’ospedale che ospitava i malati di colera dell’800. Quando l’epidemia di colera finì la città, a ringraziamento della grazia ricevuta, pose una scritta in basso all’icona della Madonna della Pace posta all’interno della Chiesa di Sant’Agostino. Non era la prima volta che questa madonna, realizzata in oro, protetta da un cancello decorato in ferro battuto di rara bellezza, raffigurata mentre allatta Suo Figlio seduta su un cuscino,

si era mossa a protezione della città. Nel 1350, dopo aver fatto miracolosamente suonare, in piena notte, le campane della chiesa di cui sopra, spinse Galeotto Malatesta Signore di Rimini a siglare la pace con il Vescovo Bindi che mise fine alle lotte per il controllo della città. La pace durò, tuttavia, poco, mentre alla Vergine, che prima di quel 6 aprile 1350 veniva chiamata Madonna del Latte, restò per sempre il nuovo nome di Madonna delle Pace. Oggi è sotto la sua benedizione che i Sestieri della città di Ascoli sfilano mell’edizione di luglio della Quintana.
Lei e Sant’Emidio sono le figure alle quali, da sempre, la città si rivolge per avere benedizione e clemenza. Fu proprio Sant’Emidio a salvare la città dalla terribile peste del 1565 e sempre lui è presente nell’affresco della Madonna della Misericordia. Venne fatto realizzare nel 1383 dalla Confraternita della Scopa che gestiva la Chiesa di Santa Maria della Carità, per il proprio oratorio e rappresenta

un ernorme mantello di Maria (il cui volto non appare nell’affresco) che protegge la popolazione ascolana accompagnata da Sant’Emidio e Santa Caterina d’Alessandria. Ora l’affresco è conservato alla Pinacoteca Civica. Il singolare nome della Confraternita (passato poi anche alla Chiesa che per gli ascolani è Chiesa della Scopa) nasce dal fatto che un tempo Piazza Roma era il luogo preposto per il mercato delle granaglie (grano, farro, cereali, etc) al termine del quale erano, appunto, i confratelli che curavano la Chiesa della Carità quelli che andavano a raccogliere, a suon di scopa, gli avanzi di grano e cereali.
Quando nel 1629 la peste venne portata dai Lanzichenecchi in assalto al Regno di Napoli che comprendeva il vicino Abruzzo, le autorità ascolane non si fecero trovare impreparate e adottarono delle misure di contenimento. Furono poste delle guarnigioni di soldati a controllo delle porte di ingresso in città

(quella della foto è Porta Solestà o Porta Cappuccina) e vennero applicate anche misure di distanziamento sociale. I medici dell’epoca avevano capito che evitare il contatto e proteggersi diminuivano la probabilità di contagio. È famosa la foto del medico Charles De Lorme vestito da medico della peste (lui che aveva curato Luigi XIII e Gastone di Francia, figlio di Maria de’ Medici)

con un costume che comprendeva, un cappotto ricoperto di cera profumata, calzoni alla zuava legati agli stivali, una camicia infilata nei pantaloni, cappello e guanti in pelle di capra, occhiali e una maschera con un naso lungo una ventina di centimetri, a forma di becco, pieno di teriaca, un composto di oltre 55 erbe e altre componenti come polvere di carne di vipera, cannella, mirra e miele. De Lorme pensava che la forma a becco della maschera potesse dare all’aria tempo sufficiente per impregnarsi delle protettive erbe prima di colpire le narici e i polmoni dei dottori.
La lebbra del XIV secolo e la rogna sul finire del XVI secolo vennero curate nella cripta di San Silvestro nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio. La piccola “piscina” 60x60x80 scavata nel suolo

raccoglieva l’acqua sulfurea e benefica che arrivava da una sorgente naturale che poi si seccò nel 1700. Scendendo i quattro scalini della vasca i malati trovavano giovamento per le proprie ferite da queste acque prodigiose. Un gioco di ombre e luci fa sembrare che l’acqua ci sia ancora mentre gli affreschi sopra rappresentano, tra mito e leggenda, la storia di San Silvestro Papa.
Questo e molto altro ha fatto parte del racconto che è stato il tema della passeggiata storica organizzata dall’Unione Sportiva Acli Marche. Un interessantissimo excursus storico capitanato da Valentina Carradori accompagnata da Valeria Nicu e Giulio Lucidi. Dopo un importante e lodevolissimo lavoro di preparazione durato circa tre mesi (perché c’è uno studio dietro all’organizzazione di una visita che abbraccia così tanti periodi storici) il racconto ha tenuto catturati i tanti presenti per oltre due ore. A loro

tutti i miei più vivi complimenti e…
…se sei in Ascoli e si avvicina l’ora di pranzo vuoi davvero non godere anche tu di un cartoccio di olive ascolane? Ma certo che no!

Come si fa rinunciare a uno dei cibi più buoni del mondo?
Tante le passeggiate storiche organizzate dall”Unione Sportiva Acli Marche, non solo ad Ascoli Piceno, molte sono quelle in arrivo, per rimanere aggiornati su tutte le novità il sito da consultare è questo https://usaclimarche.com/.
Passeggiare nella storia aiuta sicuramente a capire il presente? E chi lo sa? Sicuramente può fornire una valida chiave di lettura.