Cartolina da “Venaria Reale”

Eravamo indecise, io e mia sorella tra l’andare a Mantova oppure a Venaria Reale. Ci era chiara l’idea che avevamo, una classica gita fuori porta alla scoperta di qualcosa di ancora non visto, pranzo al sacco e zainetto in spalla. Alla fine abbiamo optato per la seconda, ripromettendoci comunque per la prima, di lasciarla in agenda come un’altra gita da fare insieme la prossima volta che verrà a trovarmi a Milano. Torino-Milano è un viaggetto in treno di poco più di un oretta e mezza, lungo il percorso il treno costeggia i mille e uno appezzamenti di terreno trasformati in risaie nel vercellese e la campagna di questa parte d’Italia, visuale a me molto gradita. Stazione di arrivo Torino Porta Nuova, una volta arrivate qui procediamo verso il modo più semplice (e meno caro!) per arrivare in Reggia, cioè raggiungiamo Via XX settembre per prendere l’autobus numero 11. Torino, la sua storia, i nomi delle sue vie, i suoi palazzi, le sue abitudini, l’eleganza e la raffinatezza della sua architettura si confondono e si intrecciano con la storia di una delle dinastie più antiche d’Europa, i Savoia, da quando, nel 1563, questo casato decise di spostare la propria sede da Chambéry a Torino, e la reggia di Venaria Reale è un chiaro segno di quanto ti ho appena scritto. Venaria Reale è un borgo che dista da Torino solo circa un 30 minuti, ma all’epoca, quando nel 1658 Carlo Emanuele II di Savoia decise di costruirci questa riserva di caccia, credo che andarci rappresentasse un vero e proprio viaggio e non un semplice spostamento. Il luogo venne scelto per la vicinanza ad un territorio che si sviluppa per un centinaio di km, ricco di boschi che arrivano fino ai piedi delle Alpi e zona molto ricca di selvaggina, che oggi fa parte del Parco Regionale la Mandria, che è stato uno dei primi parchi istituiti in Italia. Da dove siamo scese con l’autobus, la distanza che ci separa dalla Reggia è quella di una breve passeggiata a piedi in un viale che attraversa esattamente il cuore del piccolo borgo antico, che conobbe chiaramente un grande sviluppo di botteghe e attività, con l’arrivo di questa nuova residenza sabauda.

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Si attraversa la piazza principale del paese, e lungo tutto il viale, la visuale sullo sfondo è disegnata dalle Alpi e, davanti ad esse, dalla maestosa residenza che mano mano che avanziamo diventa sempre più chiaramente visibile in tutta la sua magnificenza.

Il complesso è davvero imponente, sarebbe riduttiva qualsiasi fotografia, che infatti non metto. Camminando lungo il viale e poi trovandoci di fronte all’ingresso principale, io e mia sorella romanticamente ci immaginavamo i fasti della corte durante i suoi soggiorni qui, le feste, i balli, le carrozze che riempivano la strada del borgo, e ancora pensavamo agli elaborati arredi, le preziose porcellane, gli argenti. Credevamo, e ne eravamo convinte, che avremmo trovato qualcosa di tutto questo all’interno dell’area visitabile del piano nobile, ma non sapevamo che un destino avverso, crudele e beffardo, aveva in realtà pervaso la vita di questa Reggia da poco dopo la sua costruzione. Nel 1693, infatti, alcune delle sue parti vennero distrutte dai francesi, Vittorio Amedeo II ordinò che venisse riparata e supervisionò i lavori, ma l’arrivo di Napoleone in Italia trasformò la Reggia in un campo militare, destinazione che venne mantenuta anche con la Restaurazione, e che continuò a restare tale fino al 1978, anno in cui venne affidata alla Sopraintendenza per i lavori di recupero. Saccheggiata, ferita, distrutta, offesa nella sua bellezza,

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quando nel 1999 iniziarono i lavori di restauro, l’ormai ex riserva di caccia sabauda, versava in uno stato di totale abbandono e degrado, compresi i suoi giardini che sono stati completamente ricostruiti e che videro, nel corso dei secoli, la perdita di numerose meravigliose fontane.

Il restauro, ancora non completato, vede progressivamente la riapertura di nuovi spazi, attualmente la visita ha inizio dall’Antica Citroneria, cioè l’antica serra per gli agrumi, un vasto ambiente situato al di sotto della Galleria Grande, ed è da questo spazio che prende il via il racconto della dinastia Savoia, attraverso l’installazione di ritratti dei suoi protagonisti e di pannelli che, a partire dalle origini con il suo capostipite, il Conte Umberto I Biancamano, narrano la storia del casato, la definizione del suo regno, l’acquisizione del potere, e ancora le scelte architettoniche e stilistiche nei territori da loro dominati, e via via poi il declino della stessa. Un enorme albero genealogico dipinto, originale e antico, parla di tutta la discendenza e anche dei relativi imparentamenti con le dinastie più importanti d’Europa.

Dalla citroneria si passa alle altre stanze, che, come tutti i locali posizionati nel seminterrato, un tempo erano adibite a cucine, dispense, servizi e, delle curiose installazioni animano questi spazi. Sono sei grandi schermi dove vengono proiettati degli attori che ricoprono e recitano i ruoli di corte dell’epoca, per farci capire come fosse la vita in reggia ai tempi dei suoi fasti. E così troverai Il Marchese e la Marchesa di Caraglio (Ennio Fantastichini e Ornella Muti), il cuoco Tomaso (Giuseppe Battiston), la prima damigella di camera Antonia Cotta (Martina Stella), il pasticcere Bartolomeo Vernetti (Francesco Martino), il dottore Pierre Thevenot (Alessandro Haber), il cacciatore Alessandro Petitti (Tommaso Ragno), il segretario Filippo Arduzzi (Mattia Sbragia), il Principe Giacomo della Cisterna (Francesco Rossini), l’archivista Giovanni Montardi (Remo Girone), 10 personaggi che sono i primi di una serie di 100 archetipi pensati per dare al visitatore una sorte di presentazione della vita di corte.

Ed è presto tempo di passare al piano nobile, che, ahimé, per le motivazioni addotte prima, ha in serbo poco dell’epoca, gli arredi e ciò che troverai non sono originari della reggia ma di altre dimore nobiliari, il tutto prestato temporaneamente a Venaria Reale. Ma ci sono ugualmente spiegazioni dettagliate delle sale e anche di alcuni usi della vita di corte, come ad esempio i balli che venivano dati, uno di essi era lo Zapato, una festa di origine spagnola importata a Torino dalla duchessa Caterina. Si teneva fra la notte del 5 e 6 dicembre, il giorno di San Nicola, ci si scambiavano dei doni che venivano nascosti all’interno delle scarpe e per questo la festa si chiama così, zapatos in spagnolo vuol dire infatti scarpe. Proseguendo nel percorso, ti meraviglierai all’ingresso della Galleria Grande

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è il luogo più spettacolare della reggia, una galleria di luce pensata come simbolo del potere per eccellenza dove celebrare le glorie della monarchia. Univa l’appartamento di Re Carlo Emanuele III con quello dell’erede al trono Vittorio Amedeo III, e simboleggiava la continuità della dinastia. La volta è decorata a stucchi, mentre il pavimento attuale è stato ricostruito nel 1995, quello originario venne smontato durante l’occupazione francese e riutilizzato nella Galleria Beaumont nell’Armeria Reale.

Una visita ai giardini, sostiamo lì per consumare il nostro pranzo al sacco, sotto una tettoia di rose nel roseto del giardino reale, e poi una passeggiata nel verde

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due dei tre eleganti cigni in acqua riposavano mentre noi, dopo la passeggiata, ci dirigiamo verso la Regia Scuderia che merita una menzione davvero speciale. Altro complesso enorme all’interno di questa monumentale Reggia, ospita un’altra citroneria molto più grande e luminosa della precedente, che ora viene utilizzata per l’installazione di mostre temporanee, e la scuderia vera e propria che ospita cimeli regali di inestimabile valore e che allora erano dedicati allo spostamento del Re e della Sua Corte. E allora via libera alle carrozze partendo da quella da giardino per bambini, che veniva trainata da pony, pecore, capre, e che serviva per insegnare ai principini a guidare una carrozza,

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e ancora la carrozza da viaggio tipo berlina

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per passare alle carrozze di gala, come questa facente parte di un treno di 6 carrozze che venne fatto realizzare per Margherita, prima regina d’Italia.

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e come questa maestosa carrozza trainata da 6 cavalli lusitani (riconosco la razza perché i cavalli sono una mia grande passione) utilizzata per il corteo del matrimonio, il 12 aprile 1842, tra Vittorio Emanuele II e Maria Clotilde d’Asburgo.

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Ma su tutti spicca lui, il Bucintoro, denominato anche “Reggia sull’acqua”,

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unico esemplare rimasto al mondo nel suo genere, fu ordinato da Vittorio Amedeo II nel 1729. Realizzato a Venezia e arrivato a Torino nel 1731, divenne protagonista della vita sabauda, rappresentando la gloria, la ricchezza, i fasti, il lusso, lo splendore della dinastia durante ogni avvenimento importante legato alla famiglia, dalle nozze di Vittorio Amedeo III nel 1750, a quelle di Vittorio Emanuele II nel 1842 e del duca Amedeo d’Aosta nel 1867. Nel 1869 venne donato da Vittorio Emanuele II alla città di Torino, nel 2002 fu poi affidato alla Reggia di Venaria Reale e nel 2012 venne esposto dopo il terminato restauro.

Per noi poi è stata la volta del ritorno a Torino, una breve passeggiata in centro, una pausa caffè in Piazza San Carlo (e non sono il caffè, la millefoglie è la millefoglie)

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e poi verso la stazione per il treno di ritorno a Milano.

Come ti ho detto all’inizio dell’articolo, questa volta eravamo io e mia sorella, per cui, come puoi immaginare, c’è tutta una parte emozionale, al di là di quello visto con gli occhi, che non ti posso raccontare. Sono sicura, e lo sai anche tu, che il tuo viaggio sarà diverso, perché le tue sensazioni saranno differenti dalle mie, mi auguro semplicemente che questa mia cartolina ti sia piaciuta e di averti invogliato a scoprire posti nuovi, qualsiasi essi siano.

Buona Strada!