Da quando abbiamo deciso, parlando con Giuseppe, che in una Special Guest avrei voluto, con piacere, raccontare di Re Norcino, mi è tornata ripetutamente in testa una storia che sua mamma Nicolina mi aveva raccontato un paio di anni prima. Mi parlava di suo marito Giovanni e mi disse “sai, lui faceva una cosa bellissima con i nostri quattro figli, ci parlava. Ogni giorno, finito di mangiare, si riunivano e parlavano loro 5 insieme, degli affari e anche di altro, ma hanno sempre parlato”! La storia di Giuseppe, di Luca e dei gemelli Massimiliano e Giampiero parte molto prima del loro arrivo su questa terra. È il 1957 e il nonno Giuseppe (di cui il nipote primogenito porterà poi il nome, come tradizione vuole) avvia un piccolo allevamento di maiali a Petritoli (zona “là li cipressi” per chi è pratico, ndr). È un bravissimo norcino, produce salumi e vino solo per uso familiare, tuttavia lo fa con una precisione certosina nelle ricette, niente è lasciato al caso, il risultato è eccellente anche a detta degli amici che hanno il privilegio di assaggiare le sue prelibatezze. Il figlio Giovanni è ancora giovane, degli affari non ne vuole sapere, è orientato più verso gli amici e il divertimento. Decide di prendere le redini della questione avviata dal padre nei primi anni degli anni ’60, la spinta decisiva agli affari di famiglia è sua, gli allevamenti diventano due e di più grandi dimensioni. Giovanni si sposa, nascono i figli, crescono, il volano passa a loro e alla terza generazione di Vitali l’azienda si potenzia e si struttura in maniera più decisa. Nel 1997 nasce l’idea di trasformazione della materia prima che viene dai loro allevamenti. Niente (come era stato per nonno Giuseppe) viene fatto a caso, la visione di tutto l’insieme parte da un concetto semplice (ma non scontato), creare un’azienda interamente a filiera zero che realizzi salumi artigianali, prodotti usando il minimo di conservanti consentiti dall’Accademia delle 5T, stagionati naturalmente. provenienti da carni di maiale allevati in proprio e che sono stati nutriti con mangimi derivanti da cereali coltivati nei loro terreni. Serve, anche, ovviamente, un luogo dove lavorare le carni, magari con un altitudine più alta rispetto a Petritoli, in montagna ad esempio, sul versante appenninico dove le temperature sono più rigide. Un giorno passa un fornitore che dopo averli ascoltati dice loro “c’è un cartello con scritto vendesi in un casale in campagna a San Ginesio lungo la SP78”. Lo vanno a vedere, era stata la casa in campagna di una proprietà di un conte che vantava intorno ad essa 1500 ettari di terreno coltivato a mezzadria e in cui abitavano 37 persone tra mezzadro, famiglia e lavoranti. Per i fratelli Vitali è il luogo ideale, logisticamente di passaggio, con la vegetazione intorno, dove la carne lavorata può trovare il microclima adatto per la stagionatura. L’edificio viene mantenuto nella sua struttura muraria originale mentre dentro viene completamente ristrutturato per diventare laboratorio e punto vendita. Nel 2001 rinnovano anche la parte allevamento a Petritoli, costruiscono due porcilaie che ad oggi non sono state ancora superate a livello europeo in quanto a MTD (acronimo di Miglior Tecnologia Disponibile riguardo le emissioni atmosferiche). Nel 2009 accomodano la struttura che un tempo era adibita a stalle e rimessaggio di fianco al casale di San Ginesio rendendola sismicamente all’avanguardia, in più, creano la cantina di stagionatura nel tratto di strada sotterraneo sottostante le due strutture.
Il 30 ottobre del 2016, alle ore 07:40 del mattino, alla terribile scossa di terremoto di magnitudo 6.5 con epicentro Norcia, la parte recentemente ristrutturata resiste senza subire alcun danno, ma il casale no, riporta delle serie crepe e il momento diventa difficile da superare. È Giuseppe che si impegna fin da subito a sbrigare le pratiche burocratiche derivanti da questo evento. Studia la situazione con il suo ingegnere, mette subito in sicurezza lo stabile con dei lavori di tamponamento, legge attentamente 13 ordinanze riguardanti le norme post sisma sulla ricostruzione. Solo la sentenza che gli danno i vari uffici della pubblica amministrazione sembra unanime, spostare la produzione in un container o in un prefabbricato posto più a valle in attesa di sviluppi sul da farsi post controlli al casale degli enti preposti. La decisione dei quattro fratelli è altrettanto unanime, “non se ne parla, significherebbe cambiare completamente le proprietà organolettiche dei salumi che non avendo più lo stesso microclima e lo stesso ambiente microbico, sarebbero di una qualità del tutto inferiore rispetto a prima”. Ritirano la domanda presentata per il contributo alla ricostruzione e decidono di procedere in autonomia, a proprie spese. Presentano un progetto di ricostruzione a febbraio 2017, a luglio 2017 consegnano la dichiarazione di fine lavori al Comune di San Ginesio (davanti agli occhi increduli, immagino io, dell’intera Amministrazione Comunale, n.d.r.) e non sono stati chiusi nemmeno un giorno. E fosse solo tutto qua che è già una cosa enorme e invece no, c’è di più, c’è che li conosce praticamente il mondo oramai. Esportano in 5 paesi, parlano di loro le migliori testate del gusto,
il Gambero Rosso li inserisce nella Salumi da Re Hall of Fame 2019, i loro salumi sono già arrivati sulle tavole di diversi chef stellati. Il loro Il Campagnolo
vince da tre anni consecutivi il Premio Ciauscolo al Campionato Italiano del Salame istituito dall’Accademia delle 5T
ma non possono chiamarlo ciauscolo perché usano (come da ricetta di nonno Giuseppe del 1957) un ingrediente (segreto) non indicato nel disciplinare redatto dalla Regione Marche per il Ciauscolo IGP. Decidono allora di produrre anche un ciauscolo come da disciplinare IGP
e anche con questo arrivano alle semifinali del 2019 dello stesso concorso di cui si terrà la finale a gennaio 2020. 20 gli addetti ai lavori occupati presso le loro attività, comprese le pazienti mogli dei titolari che insieme a tutti gli altri collaboratori formano il grande valore aggiunto dell’azienda. Un progetto che vede la ristrutturazione dei due allevamenti nati con babbo Giovanni e che saranno tecnologicamente ancora più avanzate rispetto a quelli nati nel 2001. E ancora, in tutto questo, un’altra idea chiarissima comune a tutti e quattro, non ci tengono affatto a diventare industria, vogliono restare un’azienda agricola artigianale a filiera chiusa che produce salumi dagli alti standard qualitativi. E dopo aver ascoltato Giuseppe raccontarmi tutto questo c’ero ancora io, lì davanti a lui, ancora con quel ricordo fisso del racconto di Nicolina che continuava a dirmi che il merito di tutto questo è stato di quelle chiacchierate, dopo pranzo, come cinque amici al bar, dietro le quali c’era la volontà precisa di un padre di trasmettere a quattro ragazzi un senso talmente profondo di famiglia da farli arrivare a diventare, uniti, una grande eccellenza marchigiana di cui il mondo si sta innamorando. E l’esempio di Giovanni si tramanda, è in arrivo la quarta generazione di Vitali, formata sulla stessa linea e se è vero che buon sangue non mente, secondo me, ne vedremo davvero tante di belle cose.