Cartolina da “Acqualagna. Il fazzoletto di terra dove Dio ha deciso di far nascere i diamanti della tavola più buoni al mondo! O forse è stato Zeus?!?”.

Si narra che nella lontana Mesopotamia, nelle fertili terre dell’Asia Minore, Sumeri e Babilonesi impiegassero in cucina il tartufo al quale veniva attribuita un origine divina. Per gli Antichi Greci nasceva dalla combinazione di terra, tuoni e di altri elementi ma, sopra a tutto questo, era Zeus con il suo fulmine divino a dare vita al tartufo. Per i Romani era un cibo prodigioso, di cui parlavano Cicerone e Plinio il Vecchio, che nasce ai piedi della quercia, pianta sacra a Giove. Nel Medioevo è considerato un alimento talmente magico e peccaminoso da essere associato a streghe, maligni e diavoli, il suo consumo è considerato nocivo tanto da generare malattie. Avicenna medico persiano lo associava a paralisi e colpi apoplettici mentre nei Tacuina sanitatis (manuali del 1400 che indicavano le proprietà mediche di ortaggi, cibi, spezie e frutta) il tartufo viene indicato come il responsabile della melanconia. È con Francesco Petrarca che il tartufo ricomincia a vestirsi di nuova luce e nel nono sonetto del Canzoniere lo fa diventare la metafora del suo amore per Laura. Nel Rinascimento, per medici e umanisti, il tartufo è l’afrodisiaco dalle proprietà erotiche che favorisce l’accoppiamento. Oggi è apprezzato in tutto il mondo e una legge italiana stabilisce che i migliori tartufi bianchi d’Italia siano quelli di Alba e di Acqualagna. Sono andata a visitare la 54^ Fiera Nazionale del Tartufo di Acqualagna ,

evento fortemente voluto e nato nel 1965 per opera di Ovidio Lucciarini, all’epoca Sindaco di Acqualagna (ruolo che ricoprì per ben 35 anni) e ho scoperto un sacco di cose da raccontarti. In questo fazzoletto di terra sorto lungo la Via Flaminia nel 202 a.C., posizionato a Sud Ovest della Gola del Furlo, circondato dalle cime dei monti, Catria, Nerone, Pietralata e Paganuccio, questi “diamanti della tavola esistono da sempre“, ci nascono spontaneamente per una strana alchimia e tutta l’economia del paese gira intorno al tartufo. Su 4.300 abitanti, circa la metà possiede il patentino di cercatore, 12 aziende commercializzano questo alimento dando vita ad un giro d’affari di 30 40 milioni di euro di fatturato annuo legato al tartufo, 250 tartufaie dove il tartufo nero pregiato viene anche coltivato (solo questa la varietà coltivabile, quello bianco non lo è), 28 ristoranti, non so quanti cani da tartufo, tutto l’indotto generato e la piazza del centro del paese che è la piazza più profumata al mondo. La mia visita comincia dal Museo del Tartufo di Acqualagna, per imparare a conoscere il tartufo dall’inizio. È un fungo (un tempo veniva considerato un tubero e invece non lo è) che nasce da una spora

generata dalle feci degli animali del bosco. La spora si impianta nel terreno, scambia alimenti con le piante del bosco, l’alchimia che nasce da questa unione viene nutrita dalla pioggia, spunta (sotto terra) il tartufo. Senza le piante (come già avevano capito gli Antichi Greci e Romani), soprattutto la quercia ma anche il tiglio, il nocciolo, il salice, il pioppo e altre, che nutrono la spora, di tartufo non ne nascerebbe uno. Avveduto in questo fu Francesco Maria II Della Rovere

Duca di Urbino e Sora e Signore di Pesaro, Senigallia, Fossombrone e Gubbio che promulgò un editto per proteggere le querce impedendone il taglio affinché i tartufi potessero crescere e prosperare. E nel bosco ci sono poi anche delle piante, cosiddette comari, che non partecipano al processo di nascita del tartufo ma che ne indicano però la presenza nel terreno, sono ad esempio la rosa canina, il biancospino, il corniolo. 60 le specie di tartufo, solo 9 quelle commestibili, ad Acqualagna crescono spontaneamente tutte e nove, in periodi diversi dell’anno, il che vuol dire che il tartufo in questo paese si trova (seppur con varietà diverse) tutto l’anno. Il mestiere del cercatore è uno dei lavori più misteriosi al mondo, non si va a tartufi con amici ma solo con membri della stessa famiglia, le zone sono sempre segrete, per depistare gli altri cercatori si lascia la macchina km e km lontano, le buche dove vengono scovati i tartufi vengono sempre ricoperte per non far capire, appunto, a nessuno che il passaggio in quella zona di bosco è stato proficuo. Due gli amici più fedeli di un cercatore, il vanghino

e, ovviamente il cane da tartufi. Un tempo si andava a cercare con i maiali che non dovevano nemmeno venire addestrati per farlo (a differenza dei cani), ma si è dovuto cambiare animale, il maiale, infatti, dopo averlo trovato il tartufo se lo mangiava e risultava molto difficile toglierglielo dalla bocca! Con il cane questo problema non esiste, piuttosto si stanca di scavare se il tartufo è molto in profondità nel terreno e quindi ecco perché è necessario per il cercatore portare con se il vanghino. Cibo che appassiona tutti, davvero cibo degli Dei, tanti personaggi importanti che hanno abitato le pagine della nostra storia si sono avvicendati a narrarne l’amore che provavano verso di esso. Per Gioacchino Rossini

fu la causa scatenante di una vera e propria guerra, la cosiddetta Guerra dei Maccheroni

con Alexandre Dumas padre (l’autore dei Tre Moschettieri e Il Conte di Montecristo). Il fatto andò che Dumas (che oltre ad essere romanziere era anche gastronomo) si vide recapitare la domanda di un amico in cui gli chiedeva la ricetta dei veri maccheroni alla napoletana. Non conoscendola decise di chiedere al suo amico Gioacchino Rossini (che si definiva pianista di terza categoria ma primo gastronomo dell’universo) che rispose invitando Dumas a cena per fargli assaggiare i suoi leggendari maccheroni alla Rossini, cioè al tartufo appunto. Dumas andò ma quando li vide non volle saperne di mangiarne e mai per Rossini affronto fu più grave. La rottura fu insanabile per sempre, Rossini morì nel 1868 e Dumas l’anno successivo pubblicò un dettaglio non felice di quella cena rossiniana, una vigliaccata francese alla quale Rossini, per evidenti motivi, non poté rispondere!  La ricetta originale del compositore (di cui ti ho già raccontato molto in questa precedente cartolina) scritta addì 26 dicembre 1866, è la seguente:

Per essere sicuri di poter fare dei buoni maccheroni, occorre innanzi tutto avere dei tegami adeguati. I piatti di cui io mi servo vengono da Napoli e si vendono sotto il nome di terre del Vesuvio. La preparazione dei maccheroni si divide in quattro parti.
1. La cottura della pasta
La cottura è una delle operazioni più importanti e occorre riservarle la più grande cura. Si comincia col versare la pasta in un brodo in piena ebollizione precedentemente preparato; il brodo deve essere stato passato a filtrato; si fa allora cuocere la pasta su un fuoco basso dopo avervi aggiunto alcuni centilitri di panna e un pizzico di arancia amara.
Quando i maccheroni hanno preso un colore trasparente per il grado di cottura, vengono tolti immediatamente dal fuoco e scolati sino a quando non contengano più acqua; li si tiene da parte prima di essere sistemati a strati.
2. La preparazione della salsa.
Sempre in un tegame di terracotta, ecco come va eseguita.
Per 200 g di maccheroni si metteranno:
50 g di burro;
50 g di parmigiano grattugiato;
5 dl di brodo;
10 g di funghi secchi;
2 tartufi tritati;
100 g di prosciutto magro tritato;
1 pizzico di quattro spezie;
1 mazzetto di odori;
1 pomodoro;
1dl di panna;
2 bicchieri di champagne.Lasciar cuocere a fuoco basso per un’ora circa; passare al colino cinese e serbare a bagnomaria.
3. La preparazione a strati
È a questo punto che si rende necessario il tegame in terra del Vesuvio. Dopo aver leggermente ingrassato con burro chiarificato e raffreddato il tegame, vi si versa uno strato di salsa, poi uno di maccheroni, che va ricoperto da uno strato di parmigiano e di gruviera grattugiati e di burro; poi un altro strato di maccheroni che si ricopre nello stesso modo; il tutto bagnato dalla salsa; poi all’ultimo strato si aggiunge un po’ di pangrattato e di burro e si mette il tegame da parte per la gratinatura.
4. La gratinatura
Il difficile è far dorare il piatto per il momento in cui dovrà essere mangiato»

Io li avrei assaggiati di buon grado e senza neanche farmi pregare, magari accompagnando il tutto con un buon Bianchello del Metauro che, a detta di veri esperti in materia, è il vino ideale da sposare al tartufo. E matrimonio perfetto non si discute! 

Questa prima parte dell’articolo, in versione più ridotta, lo trovi nel sito di Destinazione Marche in versione più estesa, invece, qui di seguito.

La mia giornata, durante la quale mi ha fatto da impeccabile e instacabile Cicerone Anuska Pambianchi, Responsabile dell’Ufficio Stampa del Comune di Acqualagna, è continuata con altre esperienze fatte, tante cose di cui mi hanno parlato, mille persone conosciute. Andiamo per gradi, la visita al museo finisce più o meno intorno all’ora di pranzo, proprio perfect timing per spostarmi nel Salotto del Gusto dove avrà luogo uno show cooking tenuto dallo chef Antonio Ciotola.

Campano di origine, marchigiano di adozione, un anno, sparando i botti di Capodanno un incidente gli causa la perdita della vista. Beh, credetemi, non ho conosciuto mai in vita mia una persona più capace di lui nel trasmettere energia positiva a chi ha davanti. Per le ricette che propone nella sua Taverna degli Archi  a Belvedere Ostrense punta su ingredienti di alta qualità selezionati con cura. E come non parlare delle sue sapienti mani, con le quali gli ho visto sezionare una lombata intera di scottona marchigiana in poco più di 10 minuti. Le stesse mani che hanno poi realizzato i paccheri

di Gragnano ripieni di scottona marchigiana, gratinati alla crema di latte e riduzione di zucca disidratata, con scaglie di tartufo bianco di Acqualagna. Ha avuto come aiutante un altro chef d’eccezione, Antonio Bedini, dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani, grande esperienza anche lui, persona stupenda di cui però volutamente non ti dico di più perché abbiamo in mente un evento da organizzare di cui, ovviamente, ti racconterò nel dettaglio e del quale ti piacerà tantissimo leggere. Tutto accadeva sotto le attente riprese di Fano Tv e la brillante conduzione di Lino Balestra. Ma tornando ai paccheri, gusto eccezionale, esaltato dal vino che, come dicevo sopra, forma l’unione perfetta con il tartufo, il Bianchello del Metauro. Selezionato e spiegato dalle sapienti e poetiche parole di un altro grande esperto in materia di food & wine, Otello Renzi. Nasce da una famiglia di albergatori e diventa ristoratore stellato con il suo “Da Teresa all’Hotel Principe” di Pesaro. Già Presidente dell’Associazione Sommelier AIS Marche per diversi anni, ora si gode cibo e vino. Ha venduto la sua attività e le parole usate per descrivere il Bianchello le trovi, insieme a quelle usate per altri eccellenti vini italiani, in un libro recentemente scritto a quattro mani con Davide Eusebi, il titolo è “Vini Veri, Viaggio nei Sensi”.

Vino ufficiale della 54^ Fiera del Tartufo di Acqualagna, un progetto bellissimo sostenuto dall’IMT Istituto Marchigiano di Tutela Vini e costituito da poco è volto a valorizzare il Bianchello del Metauro. A spiegarmelo è il simpaticissimo (e sempre in lotta con il tempo perché preso da mille impegni) Tommaso Di Sante della omonima casa vinicola, la Di Sante Vini. La sua azienda forma insieme ad altre 8 il gruppo di 9 aziende storiche produttrici di questo vino che, consorziandosi, hanno dato vita al progetto Bianchello d’Autore. La mission è dare notorietà, nuova luce e anche una posizione più determinante e autorevole sul panorama nazionale e internazionale ad un vino DOC di eccellenza, che nasce da uve che maturano cullate dal mare e dal fiume Metauro e che ha tutte le carte in regole per piazzarsi in ottima posizione sul mercato dei vini d’autore. Menzione particolare va all’immagine del progetto curata da Omnia Comunicazione che lancia il tutto con un manifesto pubblicitario degno della più bella e figa serie di Netflix. Guardando la foto dei 9 rappresentanti delle altrettante aziende,

tutti in total black, viene da dire che “Bianchello is (decisamente) the new black“!

Non solo terra di vini, ma anche di birra, come quella artigianale prodotta da Pietro nel suo Birrificio del Catria-Birra e Agriturismo. Una Laurea in Economia, uno stage in una compagnia di assicurazioni durato una settimana dopo la quale si è detto “questa vita non fa per me”. Riprende in mano un terreno di suo nonno sul Monte Catria e da lì parte. È un birrifcio che produce birra agricola, cioè a filiera chiusa, produce l’orzo, lo porta a maltificare, ci produce la sua birra che è buonissima (e non lo dico solo perché sono una fan della birra artigianale). È come il birrificio di cui ti parlai in questo articolo e con questo ed altri birrifici fanno parte del circuito Le Strade della Birra,

un percorso attraverso i birrifici artigianali della Regione Marche ma anche italiani. Appassionato, disponibile, pieno di voglia di fare, ama definire il suo buen retiro, al quale si sta dedicando anima e corpo, in birrifugio, cioè un luogo in montagna dove trovare condivisione, convivialità, birra, buon cibo e la strada per la felicità, magari percorrendo uno dei percorsi turistici pensati da Pietro per accompagnare i suoi ospiti alla scoperta delle meraviglie del Monte Catria.

È sempre in agguato la sorpresa, è arrivata anche durante questa giornata! Non sapevo assolutamente che nelle Marche ci fosse un luogo, Cantiano, paesino posto alle falde del Monte Catria, dove nascono spontaneamente delle visciole di rara bontà. Dal frutto fresco ne derivano delle amarene in vaso che sembrano in realtà visciole appena raccolte dalla pianta. Non lo sapevo io, perché invece il Re Vittorio Emanuele II le conosceva bene, tanto è vero che un documento datato 1928 testimonia un ordine fatto ad una famosa azienda del luogo per la Real Casa. Ma prima di questa data erano arrivati già riconoscimenti e onorificenze alle Amarene di Cantiano quali la Medaglia d’oro all’Esposizione internazionale di Parigi e la Croce al Merito all’Esposizione internazionale di Milano. L’azienda regina di questa conservazione in vaso è la Morello Austera dei Fratelli Lupatelli (ad Acqualagna io ho conosciuto Ivan) che dai suoi quattro ettari coltivati a visciole ricava delle conserve di amarene

e di marmellate prodotte ancora naturalmente, senza conservanti, ne coloranti e ne aromatizzanti. Non vedo l’ora di gustare queste amarene dal gusto speciale con del gelato e con della panna cotta, significherà provare delle sensazioni mai provate prima!

L’ultimo “addetto ai lavori” con cui parlo nel corso della mia giornata è un signore le cui parole mi avevano colpita già ascoltandolo nei video esplicativi visti al Museo del Tartufo. Diceva che era preciso dovere della generazione attuale e di tutte quelle future, conservare la fortuna che Acqualagna ha di poter contare su un prodotto come il tartufo, per rispettare e onorare quanto fatto dalle generazioni passate. Giancarlo Marini (nella foto con la moglie Cecilia)

mi ripete la stessa cosa anche parlando vis a vis. Con la sua Marini Tartufi i suoi figli sono alla quarta generazione di raccolta e commercializzazione del tartufo. E non solo, la loro azienda è anche trasformazione della materia prima in raffinate e pregiate specialità gastronomiche a base di tartufo. Per lui però tutto questo va molto al di là del semplice lavoro, è passione vera propria, quella passione che lo rende esperto di quotazioni, stagionalità, varietà. Giancarlo che sa valutare esattamente un tartufo utilizzando i suoi cinque sensi, Giancarlo che crede profondamente che il futuro di Acqualagna parta dal continuare a rispettarne il territorio come hanno fatto i suoi predecessori, Giancarlo dall’animo nobile che crede che il ricavo della commercializzazione di questo pregiato alimento sia il risultato finale di aver operato nel giusto modo e non il punto da cui partire.

Operosi, disponibili, ospitali, gioiosi nel raccontare del loro lavoro, sono stata accolta come se vivessi ad Acqualgna da tutta la vita e, dulcis in fundo, ho scoperto anche, parlando con lei, che Mariangela (Consigliere al Comune di Acqualagna) è la migliore amica di Luca, livornese che io ho conosciuto a Milano e che insieme alla sua compagna Giulia sono due dei miei migliori amici. Stiamo già organizzando una reunion in terra di Acqualagna, il luogo dove, insieme ai tartufi, anche la fame nasce spontaneamente! E ti credo, con quel profumino di buono che aleggia nell’aria!!! Se solo potessi mandarvelo via blog lo farei, ma secondo me conviene trovarci lì, in questo luogo delle meraviglie!

Ci vediamo ad Acqualagna dunque!