“L’unica cosa seria che c’è remaste è Lu Carnevale” mi dice Marco Olori Presidente Associazione Il Carnevale di Ascoli, raccontandomi con profonda passione le origini del Carnevale della sua città. Insieme a Offida, Castignano e Pozza-Umito (frazioni di Acquasanta Terme), costituisce il meraviglioso Carnevale Storico del Piceno che non ha eguali in nessun’altra parte d’Italia e le cui tradizioni si perdono nella notte dei tempi. Sono tutti e quattro diversi tra loro tuttavia, si possono ravvisare degli elementi comuni tra, quello di Ascoli Piceno e Pozza-Umito fortemente legati entrambi alla Commedia dell’Arte, e quelli di Offida e Castignano accomunati dal rito del falò. Del carnevale offidano hai letto in questo articolo (o puoi farlo adesso se ti è sfuggito), con quello di Castignano ha in comune il fatto che è il simbolismo del fuoco a segnare la fine delle feste carnascialesche il giorno di Martedì Grasso. E mentre a Offida vengono bruciati i vlurd a Castignano si fanno ardere li moccule (i moccoli). Sono dei lampioncini di forma romboidale a 4, 5 o 6 facce fatte di carta velina colorata, montati su delle canne, realizzati da artigiani locali. Un lato di questo rombo è aperto e al suo interno viene inserita una candela che verrà accesa per portare i moccoli in processione.
Il corteo inizia a radunarsi al richiamo della catubba (antico nome della grancassa), avviene ad illuminazione pubblica spenta rendendo il tutto ancora più suggestivo e termina con il grande falò de li moccule in Piazza Umberto I che simboleggia, appunto, come per Offida, la purificazione dai bagordi e dai peccati commessi con le carnevalate.
Diverso il Carnevale di Ascoli che affonda le sue radici nella Commedia dell’Arte e che, a distanza di 600 anni, è una tradizione che non solo non si vuole assolutamente abbandonare ma anzi, viene portata avanti con estrema fermezza e orgoglio. I personaggi della commedia dell’arte dai quali il carnevale ascolano prende spunto sono le maschere, cioè quelli caratterizzati che indossano una maschera che ricorda il volto stilizzato del demonio e che, proprio in virtù del fatto di avere il viso coperto, possono permettersi di farsi gioco del padrone (cioè del signore ricco e potente), della Chiesa e dei cornuti. Su questa falsa riga e cogliendone l’aspetto pungente il Carnevale di Ascoli diventa satira verso l’istituzioni locali e nazionali, verso il sistema e, la già splendida di suo, Piazza del Popolo, arricchita da bellissimi lampadari,
diventa il salotto dove dare libero sfogo alla critica più feroce e pungente abilmente condita da un sorriso che scaturisce dall’ironia tipica ascolana. Tanti i gruppi mascherati e le macchiette (maschere singole) che partecipano al Concorso Mascherato e una maschera tipica che è la mascotte del carnevale della città, Lu Sfrigne, un poveraccio vestito di stracci che vende
aringhe marce appese ad un ombrello. Anche i festeggiamenti del carnevale di Ascoli, come tradizione vuole, iniziano il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate e questa cosa non è a caso. Un tempo la vita delle persone era profondamente legata ai cicli dell’agricoltura e degli animali e da questo giorno, dopo la benedizione degli animali, iniziava un periodo per il contadino diciamo così di riposo, la terra non richiedeva particolari cure, le stalle nemmeno. Potevano godersi un po’ la vita prima dell’arrivo della Quaresima e, come anche Sant’Agostino diceva “Semel in anno licet insanire” cioè una volta l’anno è lecito impazzire, il Carnevale rappresentava questo. E un’altra necessità legata all’agricoltura fa nascere il piatto tipico del Carnevale di Ascoli, li raviole ‘ncasciati (i ravioli incaciati).
Succede, durante l’inverno, che con il freddo e la vecchiaia le galline fetarole (che fetano le uova) non fetino più e per il contadino mantenerle è un costo inutile. Allora si uccidevano tutte le galline fetarole non più produttive, con le quali ci si faceva il brodo. Però, se è vero che gallina vecchia fa buon brodo, la sua carne non è altrettanto buona mangiare, veniva quindi tritata, ci si aggiungeva il formaggio (il cacio ecco perché incaciati) e ci si facevano i ravioli. Il contadino che poteva dimostrare di passarsela economicamente meglio era quello che poteva permettersi di aggiungere all’impasto di carne e formaggio anche le spezie come la cannella o la noce moscata all’epoca costose.
Diverse le date che segnano oggi i momenti salienti del Carnevale di Ascoli, una delle più importanti è quella del Giovedì Grasso in cui il Sindaco di Ascoli consegna le chiavi della città a Re Carnevale che in realtà rappresenta un contadino al quale viene fatto credere di essere, per una settimana, il ricco e potente signore della città e che potrà ballare fino allo sfinimento lu sartariell (il saltarello) ballo tipico che in realtà è una forma di corteggiamento e che va a buon fine solo se la donna mette il fazzoletto che aveva sul capo intorno al collo dell’uomo altrimenti, l’uomo può ballare finché gli pare!
Le maschere più famose della Commedia dell’Arte sono quelle che una volta ci venivano insegnate alle scuole elementari, Brighella, Pulcinella, Pantalone, Balanzone, Colombina e il più famoso di tutti, Arlecchino, che la leggenda vuole legato a doppia mandata al Carnevale degli Zanni di Pozza-Umito, ti racconto perché. In queste due piccole frazioni di Acquasanta Terme si celebra uno dei carnevali più tradizionali d’Italia. Zanni è la più antica maschera della Commedia dell’Arte con la quale veniva rappresentato il servo. Da questa sono partiti molti altri personaggi e di zanni ne esistevano due tipi, quella del servo furbo e scaltro in contrapposizione a quella del servo sciocco e sempliciotto. Lu zann di Pozza-Umito è il ragazzo che, libero nei giorni del Carnevale dagli impegni dell’agricoltura, va a cercare la moglie. Prima di partire per il suo percorso costruisce con delle canne un cappello molto lungo dove, le ragazze che si scopriranno interessate ad averlo come marito, potranno appendere un fazzoletto colorato (una sorta di quello che succede con il saltarello). E così, il sabato che precede il martedì grasso, le vie di Pozza-Umito si riempiono di uomini con in testa un cappello dal cono lungo abbellito da mille strisce colorate di carta velina che sfilano in corteo accompagnati dalla musica e da una coppia di sposi.
La leggenda vuole che Arlecchino, andando dietro agli zanni, abbia usato pezzi di stoffa ricavati da tutti questi fazzoletti colorati per rattoppare il suo vestito bianco consumato e rovinato.
Un Carnevale che si fa in quattro ognuno dei quali affonda le radici in tradizioni e costumi antichissimi come del resto lo fa la storia del territorio piceno. Le origini della città di Ascoli sono da sempre un po’ avvolte nella branca dell’Archeologia chiamata Misteriosa e la zona pare fosse abitata già dal neolitico. La storia che si è tramandata nel tempo narra che, diversi secoli prima della fondazione di Roma, un gruppo di Sabini abbia deciso di spostarsi dal Lazio alla ricerca di nuovi pascoli e che, guidati da un Picchio (picus dal quale deriva il nome piceno) Verde, siano approdati nel territorio dell’attuale Ascoli Piceno. Il totem del Popolo Piceno divenne il Picchio Verde e, molto più tardi, questo uccello sacro a Marte, diviene il simbolo indicato nello stemma della Regione Marche.
Nei giorni tra Natale e Capodanno ’19 mi è capitato di trovarmi a cena con degli amici, uno dei commensali (marchigiano che vive nelle Marche ndr), nel parlare, mi dice “sai, in estate organizzo tour per i turisti, ma li porto in Toscana, perché nelle Marche non abbiamo storia da raccontare!”. Ogni volta che ripenso a queste sue parole le sento risuonarmi dentro come uno degli oltraggi più grandi che io abbia avuto il non piacere di ascoltare e la rabbia che fanno scaturire mi fa ribollire il sangue. Ti dico solo che stavo mangiando, ho posato forchetta e coltello, l’ho guardato con orrore e sdegno e…ti vorrei scrivere cosa gli ho detto ma non sarebbe il giusto finale di un articolo in cui ho raccontato tanta meraviglia!